Dalle maschere alle mascherine

di Dariush Rahiminia

L’osservazione clima di “terrore” e di “repulsione dell’altro” in cui stiamo vivendo, ha fatto nascere spontaneamente questa breve riflessione.

Se la più riconoscibile icona riguardante il periodo storico dell’epidemia bubbonica è la terrificante maschera col becco a punta dei medici della peste, oso affermare che, nella futura storia che i nostri figli studieranno sui banchi di scuola, l’epidemia di coronavirus che stiamo vivendo e affrontando oggi sarà simboleggiata dalla mascherina chirurgica – o simili tipologie.

Fino a pochissimo tempo fa, incontrare una persona con una mascherina nei diversi contesti lavorativi che la richiedevano – ovvero ospedali, fabbriche ecc. – ci avrebbe allarmato. La mascherina era un segnale con lo scopo di avvisarci di un eventuale pericolo di poter venire a contatto con qualcosa di contaminato e dannoso. Simbolo di una minaccia invisibile che ci avrebbe potuto attaccare in modo meschino e subdolo, dalla quale, al contrario di noi, l’altro si stava difendendo. Tuttavia, in poche settimane, la situazione è completamente ribaltata e il sentimento comune non è più aver paura di chi indossa la mascherina, ma di chi non la indossa! Infatti, è sempre più comune ritrovarsi in situazioni – soprattutto nei supermercati, unico residuo di una simil-vita sociale – in cui l’isteria e la su citata paura dell’invisibile creino tensioni e battibecchi tra i portatori di questa barriera respiratoria e gli “sregolati untori”.

Si ormai perso il significato rituale della maschera, ovvero simboleggiare l’essere “oltre” nei confronti della società, come un’elevazione/alienazione dal mondo terreno dei “comuni mortali”: gli sciamani indossavano maschere per comunicare con le divinità; in altre culture, ai defunti veniva posta una maschera per separare il forte spirito dalla debole carne; nell’antica Grecia, le maschere degli attori separavano la sacralità del teatro dalla vita reale. Inoltre, in tempi recenti, un chirurgo indossa la mascherina in sala operatoria, ovvero nell’atto quasi sovraumano di salvare una vita; un rapinatore indossa una maschera per compiere un atto fuori dai dettami della società; ancora, in ambito cinematografico, possiamo citare Eyes Wide Shut, in cui i partecipanti celavano il volto per compiere rituali orgiastici, per poi togliersela per tornare come se nulla fosse “sulla terra”.

Ora più mai è veritiera l’affermazione pirandelliana secondo cui l’uomo è costretto a indossare una maschera per farsi accettare dalla società in cui vive, tuttavia, se finora la maschera era metaforicamente vista come strumento per veicolare inganni, tradimenti e/o opportunismi, adesso, nella “società pandemica”, è un simbolo comune atto a creare un sentimento di appartenenza. Se prima era vista come una “lettera scarlatta”, oggigiorno è come la spilla che sottolinea l’associazione a un club. Per il momento, per ovvi motivi di tempo e spazio, queste poche righe resteranno una riflessione nata in uno stream of consciousness, ma ritengo possa essere interessante ricordarsi di questi cambiamenti, una volta che saremo tutti abitanti del mondo che verrà.

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