È venuta a mancare una delle protagoniste dell'epoca della rifondazione della sociologia in Italia nel dopoguerra, la professoressa Anna Anfossi

AIS è in lutto. Ieri 23 giugno è venuta a mancare una delle protagoniste dell’epoca della rifondazione della  sociologia in Italia nel dopoguerra, la professoressa Anna Anfossi. Allieva di Abbagnano, è stata attiva nell’Università di Torino, dagli anni cinquanta a tutti gli anni novanta, soprattutto  come studiosa dei processi di sviluppo economico e  delle dinamiche organizzativi. Grande attenzione dedicò, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ai processi sociali che accompagnavano l’industrializzazione del Mezzogiorno.  Nel 1999, in occasione del suo settantesimo compleanno, i colleghi torinesi le hanno dedicato un volume di studi cui hanno contribuito studiosi che avevano avuto modo di apprezzarne il lavoro e renderlo fonte di ispirazione e sollecitazione per elaborazioni teoriche e ricerche sul campo. Molto presente anche sulla scena internazionale, è tra le studiose la cui impronta e i cui lavori rimangono patrimonio comune di tutta la comunità sociologica.

Pubblichiamo un ricordo della prof.ssa Ida Regalia, che con Arnaldo Bagnasco curò il volume in onore di Anna Anfossi, in occasione del suo 70esimo compleanno.

RICORDANDO ANNA ANFOSSI
di Ida Regalia

A alcuni giorni di distanza dalla triste notizia della morte di Anna Anfossi, lasciando decantare la folla di emozioni e ricordi, mi piace riannodare idealmente il filo di quel confronto, pur tardivo, con lei che si era purtroppo interrotto ormai da qualche anno: da quando io avevo lasciato l’insegnamento e diradato la presenza all’Università di Torino per tornare a Milano e da quando lei aveva ridotto le comparse in pubblico e si era ritirata.
Pur molto riservata, Anna non era stata persona da rimanere in disparte. Colta, curiosa e aperta a tematiche e suggestioni le più varie, da sempre si era mossa tra ambienti e ambiti disciplinari diversi. Amava l’arte, la musica, la storia; si sentiva a suo agio nella cultura delle corti medievali di area romanza, come ebbe più volte a spiegarmi con passione. Si sentiva a suo agio in realtà nelle manifestazioni di ogni cultura, specialmente nelle forme meno convenzionali e più critiche. Se ne può avere una pallida idea scorrendo gli studi di caso raccolti nel volume Azioni politiche fuori dei partiti, edito assieme al sociologo indiano Tharailath Koshy Oommen nel 1997: vi si parla di Italia, India, Bolivia, Brasile, Cile, Messico, Burkina Faso, Somalia.
Pioniera della sociologia in Italia nel secondo dopoguerra, il suo era e sarebbe rimasto uno sguardo largo, aperto alle altre scienze umane e sociali: alla filosofia, alla storia, alla psicologia, all’economia, all’antropologia culturale… Allieva di Nicola Abbagnano, giovanissima, nel 1950, aveva fatto la sua comparsa come assistente volontaria della psicologa Angiola Massucco Costa. Assieme all’amica Magda Talamo, era stata fra i primi a dar credito al progetto dei «Quaderni di sociologia» di Franco Ferrarotti, il cui primo numero usciva nel 1951. E con Magda Talamo era stata tra le fondatrici del Centro di Ricerche Industriali e Sociali (CRIS) di Torino. Il CRIS sarebbe poi presto divenuto centro di promozione e organizzazione di studi e ricerche, anzi, di una cultura della ricerca empirica, su tematiche svariate e di particolare rilievo nei vivaci anni Sessanta: quella dell’immigrazione meridionale al nord (e anche Anna vi avrebbe contribuito con uno studio del 1962 sulle Differenze socio-culturali tra gruppi Piemontesi e Meridionali a Torino); quella dell’istruzione e dell’università (anche qui ritroviamo uno studio di Anna del 1964, assieme a Luigi Guastamacchia e Francesca Pennacchietti, su Scuole e problemi dell’istruzione nel comune di Parma); o quelle delle conseguenze sociali delle crisi di settori produttivi o degli orientamenti dei dirigenti industriali in Italia su cui al CRIS si sarebbe condotta una vasta indagine subito dopo l’autunno caldo.
Professoressa di sociologia a Torino, tra gli anni Cinquanta e Sessanta si era dedicata allo studio delle trasformazioni socio-economiche che accompagnano i progetti di industrializzazione e sviluppo in particolare nel Mezzogiorno: a Ragusa in Sicilia nel 1957, a Latina nel Lazio nel 1958, nell’area intorno a Oristano in Sardegna tra il 1958 e il 1961. Tra il 1964 e il 1973 avrebbe insegnato Sociologia all’Università di Cagliari. A questo periodo risalgono gli importanti contributi sullo sviluppo locale: la monografia su Ragusa, scritta con Magda Talamo e Francesco Indovina (1959); soprattutto, il volume Socialità e organizzazione in Sardegna. Studio sulla zona di Oristano-Bosa-Macomer (1968) basato sulla ricerca condotta per l’Organisation Européenne de Coopération Economique (OECE) sulle dinamiche sociali dei comuni coinvolti nel Progetto Pilota Sardegna. Lo studio sarebbe stato ripubblicato nel 2005 con saggio introduttivo di Benedetto Meloni, che ne ha messo in evidenza il carattere innovativo, sottolineando come, con largo anticipo rispetto alla riflessione sullo sviluppo locale degli anni Ottanta e Novanta, il Progetto e la sua interpretazione si ponessero in maniera antitetica rispetto al modello dei poli industriali: le dimensioni sociali dello sviluppo, il capitale umano, la formazione e il capitale sociale vi apparivano infatti come le precondizioni di uno sviluppo che non poteva avere successo se calato dall’alto, come sarebbe invece avvenuto. Nel 2006 con la partecipazione di Anna sarebbe stata poi fondata la Scuola Estiva di Sviluppo Locale a Seneghe, in provincia di Oristano, ideale ripresa e prosecuzione oggi, tuttora attiva, del Progetto Sardegna.
Altro filone di studio e ricerca era stato subito poi quello del mutamento tecnologico e delle dinamiche organizzative in azienda affrontati in chiave sociologica. Nel 1962 usciva il suo Gli impiegati dell’industria e le trasformazioni tecniche e organizzative in Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo, a cura di Franco Momigliano, che vi aveva raccolto gli atti del convegno internazionale svoltosi sul tema due anni prima a Milano. Il convegno era stato importante perché, nell’Italia della rapida industrializzazione e del miracolo economico, si inseriva con voci nuove nella riflessione sulle prospettive del progresso tecnologico, superando le facili derive di tipo deterministico. Nel 1971 era la volta di Prospettive sociologiche sull’organizzazione aziendale: scientific management, relazioni umane, sistemi, che verrà più volte ripubblicato. E diversi suoi contributi sul tema sarebbero poi più volte usciti: nel 1977 in Scienza, impresa e società: per una critica del concetto di lavoro, a cura di Michele La Rosa; nel 1978 in Manuale di organizzazione, a cura di Piero Bontadini; nel 1980 in Teoria dell’organizzazione e realtà italiana: problemi e contributi, a cura di Giovanni Gasparini.
Ma Anna avrebbe presto allargato e continuato a allargare lo sguardo anche in altre direzioni. Nel 1977 scriveva l’introduzione all’edizione italiana di Imperialismo e rivoluzioni. Una teoria strutturale del sociologo e matematico norvegese Johan Galtung, uno dei padri dei peace studies, fondatore del Peace Research Institute di Oslo e del Journal of Peace Research, attivamente coinvolto nella composizione pacifica delle controversie internazionali. Per Anna prendeva corpo un profondo interesse per i valori gandhiani e le ragioni e le potenzialità della nonviolenza, di cui si coglie l’eco nella sua voce “Movimenti nonviolenti” apparsa nell’Enciclopedia delle scienze sociali della Treccani nel 1996, e che sfocia nella raccolta di casi pubblicati nel già ricordato Azioni politiche fuori dei partiti del 1997.
Nel 1988 prendeva parte al Convegno “Cultura e qualità della vita a Torino”, presentando con alcuni colleghi del dipartimento di scienze sociali un documentato studio sulle Associazioni culturali presenti in città. Nel 2000 pubblicava sulla “Rassegna Italiana di Sociologia” L’idea di sviluppo socioculturale e i programmi delle Nazioni unite, in cui ragionava sul significato del termine sviluppo aldilà del suo utilizzo ristretto in ambito economico e prendeva le distanze dall’utilizzo del termine sottosviluppo, quando si sarebbe dovuto piuttosto parlare di sviluppo alterato o distorto.
Avrebbe anche ripreso il tema delle migrazioni: grazie al mai sopito interesse per la diversità delle dinamiche sociali avrebbe allora infine privilegiato un approccio in chiave storica e multiculturale. Emblematica l’introduzione a Migrazioni e trasformazione sociale in Italia di Patrizia Fazzi nel 2008, in cui i processi di emigrazione e immigrazione vengono analizzati in diversi periodi storici e sulla scorta di un ampio, diversificato, inconsueto repertorio di casi e documenti.

Personalmente, Anna ebbi la felice ventura di incontrarla solo nel 1992, quando da tempo lei era decana dei professori di sociologia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Torino, con un’ormai lunga esperienza di studio e attività in università alle spalle, e io una neo-associata che aveva vinto il concorso dall’esterno, senza nessuna reale precedente esperienza universitaria. E ebbi così la fortuna di sperimentare la sua cortesia e gentilezza straordinarie e sorprendenti, pur dietro ai modi bruschi con cui talvolta le camuffava… Mi ospitò a casa sua, mi aiutò a sbrigare le procedure burocratiche, mi introdusse nella vita accademica, mi diede quei consigli pratici che rendono tutto semplice e fluido. E insieme mi introdusse nella vita della città, della sua storia, della sua cultura, dei suoi luoghi. Andare a mangiare insieme, cinese o indiano, talvolta piemontese – ma la prima volta organizzò una cena tutta a base di specialità sarde… –, o andare a un concerto o a una mostra: tutto diventava occasione di conversazione – potremmo dire di conversazione sociologica, senza alcun cedimento al chiacchiericcio – in cui confluivano naturalmente i risultati della sua grande curiosità e dei suoi studi, peraltro mai esibiti, e della sua grande naturale umanità. Ricordo la cordialità spontanea e attenta con cui si intratteneva con il giornalaio, con il cameriere, il fruttivendolo… Sapeva ascoltare e chiedere e interessarsi a tutto: potevo raccontarle liberamente delle mie ricerche e attività. E un paio di volte – a Vienna, a Amsterdam – venne anche alle conferenze della Society for the Advancement of Socio-Economics (SASE) in cui ero coinvolta.
Per i suoi settant’anni Arnaldo Bagnasco e io curammo il volume L’esperienza della modernità. Scritti in onore di Anna Anfossi, che, coerentemente con la storia e la sensibilità di Anna, si distingue per la varietà disciplinare e d’approccio dei partecipanti e per il filo rosso del tema – quello dell’interrogazione sul problema, le ragioni, le opportunità, i limiti della “modernizzazione” o della “modernità” – che lega in modo sottile i contributi che ciascuno volle liberamente proporre. Come si legge nell’introduzione, “sociologia, antropologia culturale, storia, filosofia, studi politologici, ma anche indologia e filologia semitica vi si ritrovano accostati in un percorso variegato che si apre con un cenno alle difficoltà di occuparsi di modernità nelle facoltà umanistiche (Nicola Tranfaglia) e si snoda poi lungo un tracciato ampio e sorprendente. Vi si tratta di etica, libertà, solidarietà (Arnaldo Bagnasco), dell’effimera idea di enciclopedia cartesiana nei secoli XVII e XVIII (Carlo Borghero) e della nascita e sviluppo invece nel secolo XIX del calcolo statistico (Paola Dessì); dei modi di spiegare eventi tragicamente moderni quali genocidi e olocausti (Johan Galtung), di prospettive non convenzionali di fare politica (Franco Garelli) e di un’esperienza personale di partecipazione alla politica (Chito Guala); del moderno svelamento di fantastiche storie di altri tempi (Fabrizio Pennacchietti), di contaminazioni tra tradizione e modernismo nella letteratura hindi contemporanea (Stefano Piano) o di opportunità impreviste di rappresentare oggi il lavoro (Ida Regalia); di note per una democrazia civile da noi (Dario Rei) e di modernità invece degli “altri”, i “premoderni” (Francesco Remotti), o di sistemi di welfare locali (Chiara Saraceno); di intellettuali e politica a Torino (Sergio Scamuzzi), e, sempre a Torino, di una straordinaria, precoce esperienza di studi e ricerche (Magda Talamo); di scienze umane, interpretazione, emancipazione (Gianni Vattimo), infine, in un’ideale ricapitolazione del discorso”.
Anna era persona integra, schietta, avversa alle occasioni mondane. Trovò il modo di evitare il rito dell’ultima lezione con i festeggiamenti, andandosene per tempo, con una scusa, a un convegno e periodo di studio in Gran Bretagna…

Milano, 6 luglio 2021

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Nella foto (AIS_ELO web, ora sito SISEC), scattata in occasione della SASE Annual Conference nel 1998 a Vienna, con Anna Anfossi ci sono Ida Regalia, Marino Regini e Erik Olin Wright

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