Il rientro a scuola e all’università: I rischi del ritorno alla normalità e le sfide che dobbiamo cogliere

Non si era mai parlato così tanto di rientro a scuola e all’università. Se ne è dibattuto, si è discusso delle problematiche e si sono cercate soluzioni. A settembre finalmente, con sforzo e fatica, alunni e studenti, insegnanti e professori sono tornati in aula. Le difficoltà non mancano, molte scuole chiudono e riaprono per isolare i casi positivi, la gran parte delle università ha adottato sistemi misti di presenza e didattica a distanza. Ma anche nelle situazioni di “normalità” la vita a scuola e all’università non è quella di prima. Tutto è cambiato, ma in che modo? In che modo le scuole e le università si sono riorganizzate al loro interno? Come stanno gestendo il rapporto con le famiglie e con gli studenti? In che modo hanno colto le opportunità di tale situazione? Nel documento proviamo a riflettere criticamente su tali interrogativi, per stimolare una riflessione inter-disciplinare e condivisa finalizzata a diffondere una comunicazione istituzionale e sociale corretta e basata sulla fiducia.

Nel quadro di gestione della pandemia da Covid-19, l’attivazione delle misure di sicurezza sta determinando tensioni che possono creare faglie nelle nostre istituzioni educative, ovvero in quelle come comunità professionali e come organizzazioni volte a costruire il sapere e a promuovere la maturazione civica e sociale delle giovani generazioni.

Dopo quasi due anni di emergenza sanitaria sono emersi a nostro avviso alcune tematiche su cui è importante avviare un percorso di riflessione collettiva:

  1. Il rischio di una eccessiva frammentazione delle istituzioni educative
  2. le difficoltà di relazione tra scuole e famiglie
  3. l’urgenza di ridefinire un patto educativo tra docenti e studenti
  4. l’importanza di una corretta comunicazione istituzionale e sociale
  5. il rischio del monopolio delle piattaforme private di e-learning

1. Il rischio della frammentazione nelle istituzioni scolastiche e universitarie.

Gli imperativi della messa in sicurezza della scuola e dell’università nel periodo pandemico stanno determinando delle trasformazioni nella vita di queste istituzioni che rischiano di produrre o accelerare dei cambiamenti profondi nella loro stessa natura.

Tra i rischi principali, osserviamo un crescente accentramento delle decisioni nei vertici organizzativi. Ciò è favorito dalle esigenze di controllo e di applicazione dei regolamenti ministeriali, ma anche dalla trasformazione dei momenti collegiali, in ragione del passaggio alle modalità a distanza e online.  
Le discussioni degli organi collegiali “da remoto”, se presentano il vantaggio di aumentare le occasioni formali di confronto, tendono infatti a isterilire la discussione, ostacolano la partecipazione e l’emergere di una dialettica democratica. In taluni casi – al pari di quanto avviene nei social media – possono favorire la polarizzazione delle posizioni radicalizzando le discussioni.
Inoltre, l’utilizzo crescente delle modalità di discussione da remoto tendono a ridurre i momenti di contatto informale, non direttamente legati all’ufficialità della discussione collegiale, che pure risultano fondamentali per la costruzione delle relazioni interpersonali e della “comunità” scolastica e universitaria.
Le ricerche condotte nell’ultimo biennio mostrano che il singolo docente, dal punto di vista istituzionale, finisce per essere isolato: diventa un terminale periferico dell’organizzazione e un esecutore di prescrizioni. I processi lavorativi risultano, in questo modo, segmentati e il personale scolastico e universitario risulta indebolito nella sua capacità di negoziare la propria posizione nello spazio organizzativo.
Inoltre, da una parte il personale più anziano può manifestare minore capacità di adattamento al nuovo ambiente, determinando condizioni di abbandono o di stress, dall’altra parte, il personale neo-reclutato e quello non di ruolo, risulta maggiormente isolato, non viene socializzato alla vita professionale e non partecipa alla costruzione di significati condivisi.
In questo processo, ogni singolo docente è indebolito nei suoi rapporti con il management e risulta amplificata la tendenza all’accentramento manageriale.
Sotto questo profilo, a partire dalle ricerche e dalle osservazioni che come sociologhe e sociologi dell’educazione abbiamo condotto in questi anni, ci sentiremmo di sottolineare la necessità per la dirigenza scolastica di favorire le condizioni per la creazione di un tessuto connettivo del corpo docente che permetta l’integrazione dei nuovi docenti e la coesione della comunità professionale.

2. Le famiglie.

La gestione del rapporto con le famiglie appare oggi complicata dal quadro di gestione dell’emergenza sanitaria. Le opportunità emerse nella prima fase della pandemia (in molti casi è stata documentata una maggiore collaborazione tra istituzioni educative e famiglie per la co-gestione dei processi di apprendimento), rischiano di essere invalidate con il ritorno alla “normalità”. Si sta infatti ridefinendo un sistema di comunicazione che rischia di escludere molte famiglie – soprattutto quelle che dispongono di un basso capitale culturale, linguistico, sociale e digitale – da una relazione proficua con gli e le insegnanti. In taluni contesti si è invece osservata un’eccessiva ingerenza da parte delle famiglie nelle svolgimento della didattica. Questo problema è emerso soprattutto per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e la scuola primaria, in particolare a proposito della gestione dell’inserimento e della relazione diretta tra i genitori e gli e le insegnanti.
Si osserva inoltre la completa cessazione di tutte le attività principalmente orientate a costruire o a rinsaldare il senso di una comunità scolastica (per esempio, le feste di Natale e carnevale o le recite di fine anno).  Questi momenti avevano la funzione di creare coesione, senso di appartenenza e fiducia, permettendo agli/alle insegnanti e ai genitori di condividere dei momenti collettivi e comprendere nella pratica il senso dell’azione pedagogica.
Nella scuola secondaria, la relazione scuola-famiglia si è ulteriormente sfilacciata, riducendosi ai colloqui online.
In tutti i casi, l’esito è quello di un’ulteriore separazione tra famiglia e istituzioni educative, che nell’immediato può essere vissuta da alcuni/e insegnanti come “liberazione” dall’ingerenza e dalla pressione delle famiglie, ma che, nel breve-medio periodo, rischia di alimentare un sospetto reciproco e di sfibrare la fiducia tra le persone coinvolte.

3. Le studentesse e gli studenti.

Le studentesse e gli studenti sono i grandi sacrificati della gestione della crisi pandemica. Le loro esigenze di sviluppo fisico, morale e intellettuale sono state sottovalutate se non completamente ignorate.
Molte ricerche in corso stanno mettendo in luce un grande impegno individuale di molti/e docenti nel cercare di ricostruire una relazione positiva con gli studenti e le studentesse. Occorre tuttavia segnalare chein molti casi la DAD ha costituito una mera riproduzione di modelli pedagogici tradizionali (basati cioè sulla lezione frontale e la consegna di compiti). Ciò fa emergere il dubbio che gli ingenti investimenti per l’introduzione del digitale a scuola (culminati nel Piano Nazionale Scuola Digitale del 2015) non abbiano sortito l’effetto di un reale radicamento della didattica digitale nelle scuole italiane e nelle prassi quotidiane degli/delle insegnanti.
Particolarmente problematica è la situazione delle coorti degli e delle studenti che hanno esperito il passaggio da un ciclo all’altro (dalle elementari alla secondaria inferiore, dalla secondaria inferiore a quella superiore) che si sono trovati in una condizione di isolamento rispetto a un’istituzione estranea, senza poter vivere le esperienze della socialità scolastica che permettono di alleggerire il peso della pressione istituzionale.
Inoltre, la fase conclusiva dell’anno scolastico passato ha visto il prevalere di una valutazione sommativa (se non punitiva) rispetto agli obiettivi dichiarati di valutazione formativa. Tale prevalere è un sintomo di una sfiducia istituzionale delle istituzioni educative verso le studentesse e gli studenti. Ma anche di una sclerotizzazione pedagogica che è stata incapace di trasformare gli obiettivi e i metodi dell’insegnamento. L’istituzionalizzazione della DAD ha visto il prevalere di una concezione dell’apprendimento come processo meccanico e della valutazione come strumento di classificazione delle studentesse e degli studenti in base alla loro capacità di dimostrare lealtà e dedizione nei confronti degli obiettivi fissati dall’istituzione. La didattica ‘da remoto’ sembra aver in molti casi accentuato la tendenza delle istituzioni educative a ridurre gli e le studenti ad una sola dimensione, quella ‘scolastica’, dimenticando le finalità di sviluppo globale della persona.
Sotto questo aspetto, occorre ristabilire la centralità del patto formativo e un impegno alla ricostruzione delle relazioni di fiducia e di riconoscimento reciproco.

4. La centralità di una comunicazione istituzionale e sociale corretta.

La comunicazione è arrivata agli/alle insegnanti e alle famiglie in maniera spesso contraddittoria. Le prese di posizione pubbliche di Ministri e Presidenti di Regione hanno spesso sovrapposto il piano della comunicazione politica con quello della comunicazione istituzionale, creando confusione e sovrapposizione di informazioni.
Uno degli elementi problematici è quello dell’effetto annuncio, spesso seguito da aggiustamenti e negoziazioni che portano a provvedimenti anche radicalmente differenti da quanto annunciato. Tale prassi è oltremodo nociva in una fase di crisi.
Occorre ristabilire un’ecologia della comunicazione, in cui si consideri che la scuola è un’istituzione complessa e che deve affrontare non solo un’emergenza sanitaria ma anche l’emergenza sociale che l’accompagna.
Inoltre, le scuole e le università devono fare uno sforzo di professionalizzazione della comunicazione (interna ed esterna), dando indicazioni chiare e univoche e rendendo efficienti i processi burocratici.

5. Rompere il monopolio delle piattaforme e-learning private.

Il mercato ha dato una risposta alle esigenze impellenti e ha avuto grande capacità di adattamento. Questo mercato è però dominato da alcuni colossi, come Microsoft o Google, e ciò pone dei seri problemi legati al tema del controllo e utilizzo dei dati immessi nelle piattaforme; della privatizzazione degli spazi pubblici dell’insegnamento; e, in ultima analisi, della ridefinizione dell’idea stessa di educazione.
Come avvenuto in altri paesi, lo Stato, con le università e le scuole, dovrebbe invece farsi promotore di avviare e sostenere la creazione di piattaforme digitali per l’educazione che siano di tipo pubblico, sottoposte cioè a forme di controllo democratico anche da parte di chi lavora nelle istituzioni educative.
Ne discende la necessità di un progetto nazionale di sperimentazione che sia insieme pedagogica, didattica e tecnologica. Occorre sviluppare e utilizzare le potenzialità già presenti nel nostro sistema di istruzione (anche in termini di ricerca pedagogica e di know how tecnologico); accrescere la professionalità dei docenti; produrre strumenti informatici continuamente adattati alle esigenze dell’insegnamento e dell’apprendimento. Tutto ciò a partire da un’idea di scuola e università come bene pubblico scevro dai condizionamenti che, in maniera più o meno palese, possono venire dai processi di datificazione e piattaformizzazione dell’istruzione.
In questo quadro, la formazione degli e delle insegnanti (in particolare quella tecnologica) deve realizzarsi dentro una dimensione partecipativa e sperimentale, per rompere con i modelli, finora in auge, di carattere verticale, disseminativo e spesso orientato all’adozione di soluzione proprietarie e commerciali. L’obiettivo deve essere quello di un aggiornamento continuo dei docenti che sia insieme culturale, critico, pedagogico, didattico e tecnologico e che richieda, però, il protagonismo di ogni singola/o insegnante.
Allo stesso modo, nelle università, l’introduzione di una didattica duale, “pseudo” mista, viene decisa e gestita sulla base di processi puramente burocratici e infrastrutturali, finendo così per produrre una mera sovrapposizione di presenza e trasmissione online e rischiando di perpetuare forme sclerotizzate di didattica che non si traducono in una maggiore qualità e differenziazione della didattica universitaria. Questo richiede un’analisi critica dell’esperienze fatte e una riflessione collettiva sulla trasformazione del significato dell’insegnamento universitario, nel momento in cui, la distanza dello/a studente/essa la replicabilità della lezione registrata rischiano di trasformare il senso dell’università senza che questo sia governato e oggetto di riflessione.

6. Cogliere le opportunità che emergono dalla crisi.

Le tecnologie dell’educazione hanno consentito di sperimentare nuove modalità di gestione della relazione pedagogica e della relazione scuola-famiglia.
La didattica online ha permesso di superare alcuni limiti dell’interazione in classe e può favorire la partecipazione di soggetti in maggiore difficoltà, la personalizzazione degli interventi educativi e un maggiore avvicinamento agli universi culturali delle giovani generazioni, la sperimentazione di nuove modalità inclusive di valutazione e di autovalutazione.
Un’opportunità di innovazione pedagogica è data anche dalla necessità di evitare gli spazi chiusi.  Le scuole e le università possono sfruttare i cortili, i musei, i parchi, gli spazi urbani disponibili, e più in generale i contesti educativi gestiti dall’associazionismo del Terzo Settore, per fare esperienze di apprendimento diverse, al confine tra scuola e territorio, tra formale, non formale e informale.
Il biennio scolastico 2020-21 è stato un periodo di rottura ma anche di cambiamento. Gli/le insegnanti, le studentesse e gli studenti, le famiglie, i vertici delle istituzioni educative, hanno appreso molto e occorre fare tesoro degli apprendimenti realizzati. La crisi pandemica ha fatto sì che le relazioni professionali, i contatti con le famiglie e con gli studenti siano stati sollecitati continuamente, attraverso scambi, consigli, pratiche comunicative e narrative che hanno intessuto una fitta trama di discorsi e prese di decisioni, che hanno avuto riflessi sulle pratiche. Tutto questo lavoro culturale ha consentito di riallacciare i dilemmi intorno a quale idea di scuole e di università vogliamo promuovere e al come realizzarla quotidianamente nelle pratiche educative, creando non solo nuove definizioni della situazione, ma anche pratiche innovative condivise. Sotto questi aspetti la crisi ha rappresentato un enorme opportunità di riflessione collettiva e, in tal senso, è fondamentale continuare a procedere in tale direzione.

Il Consiglio Nazionale Scientifico della Sezione “Educazione” dell’Associazione Italiana di Sociologia

Marco Pitzalis (Coordinatore) – Università degli Studi di Cagliari
Donatella Poliandri (Segretaria) – INVALSI
Gianna Cappello – Università degli Studi di Palermo
Andrea Casavecchia – Università degli Studi Roma Tre
Giulia Maria Cavaletto – Università degli Studi di Padova
Orazio Giancola – Università di Roma “La Sapienza”
Francesca Lagormasino – Università degli Studi di Genova
Filippo Pirone – Université de Bordeaux
Marco Romito – Università degli Studi di Milano-Bicocca
Emanuela Spanò – Università degli Studi di Cagliari

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