È lecito chiedersi se è così che si persegue il valore della ricerca scientifica come strumento di pace, dopo la presa di coscienza, successiva alla II guerra mondiale, della non neutralità della scienza. Questa scelta rischia di essere letta come l’ammissione implicita che la scienza è diventata solo uno strumento delle economie e dei governi nazionali. Rischia di vanificare la coraggiosa dichiarazione pubblica degli scienziati russi contro la guerra. Potrebbe essere piuttosto l’occasione per richiamare tutte le istituzioni di ricerca a sottoscrivere impegni concreti che diano contenuti ai principii della Responsible (Response-able) Research & Innovation, trasformata spesso invece in una mera lista di adempimenti burocratici (su gender, open science, ecc.), una sorta di “bureaucracy of virtue” secondo la definizione di Ulrike Felt. Chiediamo il sostegno di altre società scientifiche italiane ed europee perché alla dichiarazione della Commissaria Europea alla ricerca si dia seguito ribaltandone, in senso positivo, il significato come un richiamo da far valere erga omnes; la sospensione sia momento di riflessione per tutti, sulle responsabilità della ricerca e la sua capacità di darne conto; si riprendano al più presto i finanziamenti ai progetti che hanno superato il vaglio scientifico, sotto questa nuova e universalisticamente esigita condizione. Sarà stato allora un passo in avanti per la scienza, per l’Europa, per il recupero della nostra umanità.