di Francesco Antonelli
Addii La morte a 86 anni della sociologa e docente. Dopo gli anni della formazione, proveniente da una famiglia liberale e borghese, negli anni ’60 diede il suo contributo su riviste come «Quaderni Rossi» e i «Quaderni piacentini»
Ho conosciuto Bianca Beccalli nel maggio del 2013, a Roma Tre, durante un convegno organizzato dall’allora neonata sezione «Studi di genere» dell’Associazione italiana di sociologia (Ais), dedicato a «Genere, Sociologia, Università». Tre parole chiave che richiamavano molto dell’impegno intellettuale e politico della studiosa dell’università di Milano. Impegno che l’aveva anche portata ad appoggiare e a partecipare alle iniziative e ai dibattiti di questo nuovo gruppo di studiose e studiosi che nasceva nell’Ais e che invece, soprattutto all’inizio, fu snobbato se non proprio osteggiato da altre madri nobili degli studi di genere nelle scienze sociali.
Per Bianca Beccalli, invece, era importante rimanere inserita nel corpo vivo delle trasformazioni che interessavano quegli studi, ai quali aveva dedicato buona parte della sua vita, mossa da una questione di fondo: in che misura un approccio scientifico, eppure non asettico ma aperto alle sollecitazioni reali della società, può contribuire a comprendere e quindi suggerire modifiche concrete, fattibili e progressiste, di quella stessa società?
VIVIAMO in tempi nei quali vengono approfondite ed esperite modalità puramente tecnocratiche di leggere i fenomeni politico-sociali e intervenire su di essi; un coinvolgimento e una definizione nello spazio pubblico degli intellettuali come «esperti» apparentemente mossi dal solo rigore scientifico ma, in realtà, legati a interessi molto concreti, quanto occulti, da promuovere. Bianca Beccalli ha espresso, invece, un’altra postura, quella che fa i conti apertamente con il proprio posizionamento, maturato attraverso un diverso percorso.
Dopo gli anni della formazione, proveniente da una famiglia liberale e borghese, negli anni ’60 diede il suo contributo su riviste come Quaderni Rossi (1961 -1966) e Quaderni piacentini (1962-1984), percorrendo l’intreccio tra la rinascente sociologia italiana – allora ancora scarsamente presente nell’Università – e la militanza politica. L’inchiesta operaia fu il terreno di questo incontro ma anche di uno sbilanciamento: quello a favore della dimensione politica. L’incontro e lo sviluppo di una lettura di genere, cioè della presenza delle donne e della trasformazione delle loro soggettività all’interno del prepotente cambiamento che segnava la società italiana degli anni Settanta e Ottanta – la parabola post-industriale e della società dei consumi, per dirla in altri termini – fu quindi l’occasione per ricalibrare quello sbilanciamento.
SOPRATTUTTO, attraverso l’analisi, sviluppata sino ad oggi, del rapporto complesso e contraddittorio tra domande di riconoscimento delle «differenze» e quelle di maggior «uguaglianza» espresso dalle donne, prima di tutto sul terreno sociale e del lavoro (ma anche su quello politico, come dimenticare i suoi pionieristici contributi al dibattito sulle cosiddette «quote rosa»?).
Da questo percorso, la dimensione dell’impegno non viene cancellata ma arricchita dalla costante ricerca della serietà e del rigore delle analisi e delle argomentazioni; senza sconti e mascheramenti né verso sé stessi né verso gli altri. È probabilmente questo uno dei lasciti più preziosi dell’opera di Bianca Beccalli che, a ben vedere, è anche quello che sul piano più generale ci consegnano continuamente, nel nostro lavoro scientifico come in quello politico, i movimenti delle donne.