Costruire un mondo che possa “essere amato da morire”. Questo, per dirla con Georges Bataille, è l’obiettivo della decrescita – non la sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti. Se tale è l’intento è inutile interrompere la crescita in sé. Occorre, invece, fuoriuscire dal regime antropologico, economico, sociale e politico che genera il feticismo della crescita. Compito ben più arduo, poiché nella sua formulazione dominante, l’alternativa della decrescita condivide con questo regime buona parte dei suoi fondamenti. Occorre quindi rielaborare completamente il progetto, assumendo la consapevolezza che la crescita non è semplicemente un “valore” socialmente condiviso, ma l’esito di uno specifico assetto istituzionale. Per costruire una reale alternativa, Onofrio Romano propone allora di ripensare la decrescita alla luce della nozione batagliana di dépense. In questa chiave, il problema di fondo non è la scarsità, ma l’abbondanza. L’enorme quantità di energia circolante sul pianeta, che con la sua mera presenza ci “chiama” a essere e ad agire, in assenza di senso. La società di crescita elude questa chiamata mediante il totalitarismo della dimensione “servile”, ossia della lotta per la sopravvivenza, anche quando la sua necessità viene meno. La società di decrescita mira invece a riconquistare una postura “sovrana” – da non confondersi con la volontà di dominio – ossia a sottrarre l’essere umano all’affaccendamento insensato. Per questo, occorre far decrescere il soggetto moderno a beneficio di un soggetto di “depensamento”. Il soggetto che si pone all’altezza del nulla in cui dimora.