L’AIS partecipa con commozione al lutto improvviso per la scomparsa di Nicola Negri, sociologo di grande spessore e persona dotata di umanità profonda e tratto gentile. Ci mancherà il suo sorriso, ma il suo ricordo e il suo contributo rimarranno nei tanti colleghi che hanno incrociato il suo percorso e ne sono rimasti per sempre segnati.
“Per ricordarlo, condividiamo il saluto di Nicoletta Bosco, in occasione del suo pensionamento nel 2016”.
Pensando a come salutare Nicola devo innanzitutto ammettere – a me stessa prima che a voi -che questa condizione non mi piace affatto. Esprimere pubblicamente questo saluto implica dare concretezza all’idea che dovremo fare meno di lui nella quotidianità. Qualcosa di assolutamente innaturale per chi come me ha condiviso con lui uffici, ricerche, pratiche burocratiche, libri, sigarette, ansie, entusiasmi e dubbi, vita nell’arco di un ventennio.
Così, tanto per cercare di distrarmi da questo pensiero inaudito, vorrei provare a raccontarvi alcune delle cose che credo (o almeno spero) di aver imparato da lui in questi anni e qualche pensiero sparso.
Ho imparato che il tempo è relativo e ho sperimentato come possa assumere andamenti inaspettati se quello che si sta facendo è un rovello o ci appassiona. E’ capitato spesso che ci lasciassimo la sera – spesso ben oltre un consueto orario di lavoro – con una domanda in sospeso, qualcosa che non tornava nei dati, un dubbio su un passaggio della ricerca che stavamo portando avanti. Io mi trovavo a correre a casa stremata senza riuscire quasi più a formulare frasi di senso compiuto, lui arrivava al mattino successivo con fogli di appunti, modellizzazioni che provavano a ridefinire il punto sul quale ci eravamo arenati solo poche ore prima, proposte per analizzare la questione da un altro punto di vista, senza mai fermarsi, con un’energia e una lucidità che mi lasciava ogni volta senza parole.
Ho imparato a non aspettarmi che quello che proviamo a comunicare sia ovvio per i nostri interlocutori. Nicola ha sempre spiegato ogni passaggio, ogni concetto, senza dare mai per scontato che quello che diceva fosse chiaro, altra qualità rara, credo il fulcro dell’insegnamento, la molla che permette di interagire senza mettere in difficoltà chi ascolta, qualunque sia il livello di conoscenze di cui dispone.
Ho imparato che gli opposti spesso opposti non sono, che le cose a volte si vedono meglio guardandole dai margini, che è utile mettere in discussione quello che si sta facendo per cercare di migliorarlo, che chiarezza e confusione possono succedersi e aiutarci a rendere fecondo quello di cui ci occupiamo, solo se siamo disposti a immergerci nelle ambivalenze, a non optare troppo in fretta per soluzioni facili. Con Nicola l’obiettivo non è mai stato portare a casa risultati e riconoscimenti, ma innanzitutto approfondire, trovare strade per comprendere meglio, per leggere in modo più fondato il mondo che ci circonda.
E a proposito di letture, Nicola ha sempre letto tantissimo, non solo per i suoi studi o interessi, ma ha sempre letto con attenzione i lavori di tanti di noi, giovani e meno giovani, e anche questo – credo di non sbagliarmi – non è comune. Sono convinta che se riuscissimo a praticarlo come lui ha fatto, e lo dico innanzitutto a me stessa, probabilmente anche le nostre discussioni sui criteri in base ai quali valutare, riuscirebbero ad essere più appassionanti e sostanziose e, forse, saremmo più simili ad una comunità di quanto non siamo.
Quando Nicola era mio relatore di tesi gli incontri con lui erano entusiasmanti, arrivavo confusa con un centinaio di questionari di cui stentavo a dipanare la trama e sembrava magicamente che tutto assumesse un ordine, uscivo dal suo studio con la sensazione di aver finalmente colto il passaggio fondamentale, finalmente trovato il filo….sanno però bene i colleghi che ho conosciuto in quegli anni nelle lunghe attese di fronte al suo studio nei corridoi di Palazzo nuovo (e probabilmente anche molti più giovani), quanto lavoro – una volta tornati a casa – fosse necessario per ritrovare almeno un barlume della chiarezza che ci aveva permesso di intravvedere.
Se devo trovare un termine che lo definisca penso a lui innanzitutto come a un polìmata, parola che nell’antichità identificava chi conosce e si appassiona a temi e discipline le più diverse – dalla filosofia, alla storia, alla fisica, alla matematica, alla storia della scienza – e che ha sempre la curiosità, la passione e la generosità per raccontare e metter in comune le sue idee, perché sono appunto le idee, la loro sostenibilità e verifica empirica che contano e non il fatto che sia lui ad averle pensate. Forse per questo non lascia una scuola nel senso pieno del termine, ma piuttosto persone libere di essere e di sperimentare passioni diverse, anche libere di sbagliare. Forse anche per questo, sebbene ne sia stato il precursore, non è nata a Torino una scuola di analisi longitudinale, nonostante gli studi italiani e stranieri abbiano avuto grande spinta dalle sue intuizioni e dalle sue ricerche in questo come in altri ambiti.
Nonostante ciò Nicola è sicuramente stato un insegnante, non uno che ti prende per mano e ti consola, ma che piuttosto sa trasmetterti passione – per la ricerca e la scoperta – e ti mostra – vivendole in prima persona e senza risparmiarsi – quanto di meglio il nostro mestiere è in grado di esprimere: che la passione deve accompagnarsi al rigore, alla pratica e alla fatica e che senza queste condizioni difficilmente si riescono a fare passi in avanti nella messa a fuoco della realtà.
Insomma credo ci accorgeremo, se ancora non lo sappiamo, di quanto lui – persone come lui – siano preziose e rare e sono certa che ci mancherà più di quanto noi gli mancheremo, perché sicuramente sarà già immerso in qualche nuova avventura intellettuale, idea, ricerca, lettura….