Pubblichiamo un ricordo di Alessandro Dal Lago, a firma di Marco Marzano, fondatore con lui e Pierpaolo Giglioli della rivista "Etnografia e ricerca qualitativa"

Nella notte tra venerdì e sabato è morto Sandro Dal Lago. La notizia mi ha addolorato moltissimo, anche se non è giunta inaspettata.  Non è stato un fulmine a ciel sereno. Non vedevo Sandro da alcuni anni, all’incirca da quando aveva lasciato, con qualche anno di anticipo, l’insegnamento universitario a Genova e si era trasferito in Sicilia. Di recente però, l’estate scorsa, mi aveva scritto. Mi aveva rivelato di seguire da lontano quel che facevo pur non avendo da tempo mie notizie dirette. Mi disse anche di essere alle prese con “qualche problema di salute” (queste le sue parole), mi accennò alla natura del suo male e mi rivelò di aver bisogno dell’ossigeno per camminare. “Ma potrebbe andare peggio” concluse. In questa frase c’è molto di Sandro per come l’ho conosciuto, del suo rifiuto di drammatizzare e di compatirsi, della sua forza, della sua energia vitale, della sua intelligenza sempre in azione. Non l’ho mai visto “ammosciarsi”, né mai l’ho sorpreso depresso o abbattuto. Quando anni fa ci incontravamo in treno diretti alle riunioni di Etnografia e Ricerca Qualitativa o dei Prin o del Mulino mi sommergeva, immancabilmente e felicemente (per me), di racconti, impressioni, valutazioni, aneddoti dei quali facevo tesoro. Da quelle sue ultime righe, da quel “potrebbe andare peggio”, deduco, e lo ammiro di cuore per questo, che ha affrontato anche gli ultimi mesi della vita con quello stesso formidabile spirito, con quella tempra invidiabile. Un amico comune, Giolo Fele, mi ha appena raccontato di averlo ospitato virtualmente (online) in una delle sue lezioni qualche giorno fa. Mi è sovvenuto alla memoria il coraggio di Michel Foucault, capace di andare in aula sino a poche settimane dalle fine.

Come sociologo Sandro è stato un fenomeno, un fuoriclasse assoluto. Era dotato di una penna felicissima, era acuto, profondo e brillante. Aveva anche una facilità di scrittura straordinaria, testimoniata dai tantissimi libri (probabilmente più di trenta, non riesco nemmeno a contarli) e dai mille articoli che ha pubblicato. Possedeva una versatilità che non ho mai conosciuto in un collega e in un intellettuale della sua statura. Infatti è stato capace di rivisitare in modo sorprendente e inedito il pensiero di alcuni classici del pensiero sociologico, Weber e Simmel su tutti, di introdurre in Italia autori fino ad allora pochissimo noti (gli etnometodologi), ma anche di esplorare mondi ignoti agli scienziati sociali, ad esempio quello dell’arte o quello dei contractors militari e da ultimo quello delle arti marziali, di pubblicare uno dei bestsellers di tutti i tempi della sociologia italiana (Non-Persone) e di lanciarsi in polemiche serrate e appassionate: con la consulenza filosofica, con Saviano, con Casaleggio e i Cinque Stelle. Sempre offrendo un punto di vista originale, una prospettiva personalissima e affascinante.

Un giorno, parlando di lui, l’amico editor di una grossa casa editrice per la quale Sandor aveva pubblicato diversi volumi mi disse che a suo parere Dal Lago era stato una sorta di maître à penser mancato, che avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare l’intellettuale di riferimento di una vasta area culturale e politica. Quell’editor attribuiva all’eclettismo di Sandro, alla sua incostanza nei temi di ricerca, la ragione di quella che per lui era una mancata consacrazione. Ho ripensato a lungo a quel giudizio e oggi mi sembra di poter dire, guardando con emozione all’intera produzione di Sandro nel giorno della sua scomparsa, che quel ruolo da maître à penser non gli si addiceva. Perché Sandro, almeno questa è stata sempre la mia impressione, era uno studioso e un uomo di cultura fedele soprattutto alla sua curiosità, alle sue intuizioni, ai suoi desideri (che spesso esorbitavano il campo della sociologia). Per diventare un maître à penser nel senso in cui immaginava quell’amico avrebbe dovuto ingessarsi, farsi uomo di potere, partecipare alla costruzione del mito di sé stesso. Al contrario, Dal Lago (che pure aveva fatto con gran gusto e divertendosi il Preside della sua Facoltà a Genova) mi è sempre parso davvero un anarchico, un uomo libero, a un tempo grande seduttore di menti, in grado di affascinare con la parola e con gli scritti intere generazioni  di giovani studiosi,  dall’altro maestro della provocazione urticante, della tenzone intellettuale e del conflitto, al punto da diventare in qualche occasione chiaramente e intenzionalmente antipatico. Era, come sanno tutti quelli che l’hanno conosciuto, attraente e repulsivo e per questo incapace di fare di se stesso un monumento, di divenire davvero un capo.

L’ultima frase della sua ultima email recita “rimaniamo in contatto”. Con te purtroppo non lo saremo più Sandro, ma col tuo lavoro e con la tua memoria lo saremo a lungo, molto a lungo. Puoi giurarci.

 

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