Chi è Vincenzo Del Gaudio?
di Mario Tirino
E come si fa a spiegarlo a chi non lo ha vissuto, a chi non ci ha scambiato una parola, a chi non ne ha letto qualche pagina?
Qualcuno pensa, ingenuamente, che Vincenzo sia morto. Ah, poveri illusi.
Vincenzo era movimento, inquietudine, ricerca. Amava più di ogni altra cosa praticare le connessioni. Connessioni tra persone, connessioni tra idee, connessioni tra immagini, lettere, spettacoli. È per questo che il riflesso delle sue scintillanti passioni è ora più intenso che mai.
Il nostro Vincenzo studiava il teatro, e in generale le arti performative, con una fame di conoscenza che lo portava a consumarsi, a spendersi senza sosta ovunque il suo interesse lo conducesse.
Amava definirsi mediologo del teatro. Ma era molto di più. Il suo Théatron. Verso una mediologia del teatro e della performance (Meltemi, 2021) era la summa di una serie di approfonditi e pluriennali percorsi di ricerca che partivano dagli amati Georg Simmel e Walter Benjamin, saltellavano verso Ortega y Gasset e arrivavano – planando su Burroughs, Artaud, Majakovskij – fino alla mediologia pura di Marshall McLuhan (su cui ha scritto pagine straordinarie), agli studi sulla liveness digitale, a Philip Auslander, e alla media-archeologia, a Jussi Parikka. La digitalizzazione del teatro era per lui un campo di battaglia teorica, in cui mostrare sia i muscoli di una solida teoria, sia la raffinatezza di guizzanti intuzioni, in cui il suo pensiero sul teatro digitale sapientemente illuminava l’autorialità, la spettatorialità, il materialismo dei media, le energie drammaturgiche, i flussi di luce, corpi e sostanze, la presenza e la distanza. Ma qualsiasi profilo scientifico di Vincenzo, senza la vita che vi aveva fatto trascorrere come lava, sarebbe un freddo e inerte esercizio di stile: da vulcanico giocoliere della ricerca, a lui non bastava studiare i testi, doveva conoscerne gli autori. Rebecca Schneider, per esempio, un’altra eccezionale studiosa che gli piaceva annoverare tra i suoi maestri, e che aveva abbracciato solo poche settimane fa a Lisbona.
Grazie al dialogo con studiosi che stimava, e che, perciò, in breve gli diventavano amici – era impossibile non farlo, dopo averci passato appena mezz’ora – come Laura Gemini, Annamaria Monteverdi e Antonio Pizzo, aveva arricchito ancora la sua ricerca, portandola fuori dall’Italia con pubblicazioni internazionali, seminari, contatti, anche attraverso i progetti europei – “TESEO” e “Elephant” – cui aveva preso parte.
E naturalmente Vincenzo aveva colto il segreto della ricerca: stare vicino alle cose che si amano. Per questo, gli artisti e i teatri gli restituivano quell’amore bruciante. Nicola Vicidomini, Daniele Timpano, il Nuovo Teatro Sanità, il Teatro delle Albe di Marco Martinelli, LENZ e decine e decine di altri…
Ma se il teatro era l’oggetto privilegiato di ricerca per Vincenzo, la sua capacità di analizzare e illuminare gli elementi performativi negli scenari mediali gli consentiva di scrivere anche splendidi saggi di mediologia della letteratura (su Roberto Bolaño), di praticare con straordinaria acutezza i territori del videogioco (suoi alcuni studi originali sugli esport e sulle connessioni tra teatro e game), di interrogarsi sulle serie tv (Walking Dead, Stranger Things), di uscirsene con spettacolari connessioni tra performance e moda (in uno dei suoi scritti più recenti con Irene Psaroudakis), performance e canzone pop (in un magnifico saggio su Achille Lauro a Sanremo). Persino di leggere in chiave mediologica il calcio (forza Napoli sempre, già sai!), le televendite, i fenomeni trash.
Vincenzo non si può rinchiudere. Perché vola. Non gli bastava un solo settore disciplinare. Smaniava rutilante e affamato, e aveva conseguito ben due abilitazioni da professore associato (in Discipline dello Spettacolo, L-ART 05, e finalmente in Sociologia dei processi culturali e comunicativi) e si era conquistato, con le unghie e con i denti, ma soprattutto con tanto studio e tanta ricerca, le cattedre a contratto di Teoria e tecniche dello Spettacolo Multimediale all’Università di Salerno e di Storia del Teatro e dello Spettacolo all’Università della Tuscia a Viterbo. Ma anche Storia del Teatro Moderno e Storia del Teatro Contemporaneo e altre ancora all’Università eCampus, dove – finalmente – appena pochi giorni fa aveva firmato la presa in servizio come professore associato. La sua tenacia, la sua fede incrollabile nella ricerca, il suo vitalismo ottimista, la sua profondissima umiltà, la sua vivacità inarrestabile gli avevano permesso di fronteggiare tantissime avversità, comprese le miserie umane di personaggi che lo avevano sfruttato, e poi avversato e diffamato, e che non hanno nemmeno avuto il pudore di tacere e vergognarsi, in queste ore.
Ma Vincenzo era più in alto, e già altrove, inafferrabile, rispetto a queste miserie umane. Al di là della sua figura di studioso eterodosso, si fissa nella mente soprattutto perché ha disperso in giro per l’Italia flussi di affetto spontaneo, tra moltissimi colleghi, tra i “tiatrant”, tra gli amici della sua terra e soprattutto tra i suoi studenti – dei quali col suo vociare tonitruante sapeva magistralmente afferrare l’attenzione e la venerazione. I loro messaggi stracolmi di gratitudine, che affluiscono a centinaia da giorni, da Benevento a Viterbo, da Salerno a Messina, sono il premio più grande alla carriera e alla vita di Vincenzo.
Noi amici più stretti del Centro Studi “Media Culture Società” (Gino Frezza, Lorenzo Di Paola, Simona Castellano, Marco Navarra) abbiamo avuto il privilegio di viverlo nella quotidianità di Fisciano, di prenderlo in giro per le sue bretelle e i suoi cappelli, di sfotterlo un po’ per i suoi immancabili refusi e qualche volta di arrabbiarci con lui per la sua “singolare” organizzazione. Con lui abbiamo condiviso lunghissime ore di discussione, progettazione, organizzazione. Ci hai donato le tue costruzioni teoriche, innovative e affascinanti, piene di futuro e di passato, di originalità e coraggio. Tra immancabili battute e buonumore, e un mare di risate, non ti sei mai sottratto al confronto, con un’attitudine particolare a proteggere, avvicinare, aiutare i più giovani. Abbiamo organizzato seminari, conferenze internazionali, progetti europei. Abbiamo viaggiato come trottole portando i nostri discorsi ovunque per l’Italia, scrivendo saggi, immaginando percorsi, strutturando strade, tratteggiando progetti di ricerca e pubblicazioni con tanti, tantissimi amici. “Amm’ arrevutato”, abbiamo terremotato grazie alla tua feroce dedizione.
Ma uno così, uno speciale e unico, un dono di fuoco e vento, può mai morire? Sei diventato luce, luce enorme, e siamo sicuri che il calore dei legami e delle infinite connessioni che hai assemblato riscalderà Giovanna e i tuoi amatissimi bimbi Demetra e Virgilio, ancora a lungo.
Io ti sono stato vicino fianco a fianco, gomito a gomito per dieci anni. E ti maledico per questo dolore implacabile di non poterti più cercare, quasi ogni giorno, per una battuta e un consiglio, per un confronto, un augurio, un ricordo, una risata. Ma so che splenderai, ruggirai e vivrai per sempre. Con me. In me. Con noi. In mezzo a noi. Ti voglio bene, fratello mio.