DALL’ORA ET LABORA ALL’ETICA CALVINISTA DEL LAVORO
I GIORNI DI BENEDETTO. DIALOGHI SU MONACHESIMO E SOCIETÀ
CONVEGNO NAZIONALE 1A EDIZIONE
18 Marzo 2022
È trascorso all’incirca un secolo da quando Max Weber cercò di dare risposta alla domanda relativa alle origini dello “spirito del capitalismo”, alla sua ricerca di uno sviluppo sempre più marcato nelle società Occidentali del tempo ed alla conquista da parte del mercato industriale di una maggiore produttività. La spiegazione la trovò nell’etica protestante di Giovanni Calvino. Per quest’ultimo, interessato più alla salvezza dell’anima che al profitto economico, la formazione di una etica protestante del lavoro esorta le persone a una condotta di vita ascetica, impegnandosi nelle mansioni lavorative, non sperperando il denaro, bensì risparmiando e accrescendo il capitale personale. Per Weber la nuova forma di capitalismo deriverebbe così dall’etica calvinista e dalla teoria della predestinazione. È in questo modo che il sociologo di Erfurt riesce a mettere in relazione la mentalità capitalista con la mentalità religiosa calvinista. È quest’ultima a rappresentarsi come una pre-condizione culturale grazie alla quale si formò la prima. La concezione del valore del lavoro calvinista portò inoltre Weber a trovare riscontro in alcune differenze rispetto al cattolicesimo. Mentre il protestante ringrazia Dio per quello che ha ottenuto, al contrario il cattolico prega Dio per ottenere qualcosa. Il rapporto con Dio sarebbe così, completamente diverso. Il cattolico si affida a Dio, il protestante lo ringrazia, non chiede. Eppure in questa analisi Weber sembrerebbe aver tralasciato l’impatto che il monachesimo cattolico ebbe sull’economia di mercato. Abdicando alla logica economica ordinaria, monaci e monache diedero vita ad esperimenti sociali che hanno generato anche l’economia europea. Il capitalismo non è certo un prodotto diretto del monachesimo, ma non sarebbe nato senza il monachesimo. Ben prima della riforma protestante, è stata la Regola benedettina il primo grande strumento di “eterogenesi dei fini” dell’economia moderna. Non deve stupire dunque se ormai sono diversi i pensatori, come Pierre Musso o Isabelle Jonveaux, a sostenere come le grandi imprese moderne altro non sono che la secolarizzazione degli antichi monasteri.