Il volume analizza il lungo processo culturale, sociale e politico, dal 1882 al 1924, che vide l’imposizione di progressivi veti all’ingresso degli immigrati nel territorio americano. Tale processo si servì dello stereotipo dell’immigrato, nella cui figura venne identificato il pericolo sociale della povertà, della marginalità, dell’analfabetismo, della debolezza mentale, della solitudine, della diversità religiosa e dell’aggressività – per fomentare il timore della sostituzione del ceppo statunitense originario da parte di altre “razze”. Agli americani fu prospettato un futuro sempre più incerto, in cui le masse di stranieri che si stavano diffondendo nella realtà statunitense avrebbero “annacquato” il loro sangue puro. Le scienze sociali democratiche furono pronte a contribuire, in modo esplicito e implicito, a questa campagna di odio e respingimento tesa a costruire e consolidare disuguaglianze e pericoli sociali contro uomini e donne attratti nel Nuovo Mondo anzitutto dalla voglia di lavoro. L’autore ripercorre la storia di quegli anni, convinto che la loro memoria sia di vitale importanza per la società contemporanea, in cui è tornata in auge la medesima retorica fondata sulla discriminazione e sulla paura.