REFERENDUM: SOCIOLOGO UNIPI, DEPOTENZIATO SE PERCEPITO COME CALATO DALL’ALTO

Disaffezione verso politica può avere peso relativo: è uno strumento di democrazia diretta, non partecipativa

ROMA, 3 giu – “Attualmente attraversiamo una fase di generale disaffezione nei confronti della politica, ma è utile fare un distinguo tra partiti e adesione ai referendum. Quest’ultimo, infatti, è uno strumento di democrazia diretta, non di democrazia partecipativa. Si tratta sostanzialmente della chiamata alla mobilitazione e al voto su un tema che può essere rilevante, al centro del dibattito, ma che non necessariamente coincide con i percorsi di partecipazione politica quotidiana da parte dei cittadini. Tale caratteristica contiene in sé un rischio: quello di far rientrare anche l’istituto del referendum all’interno delle dinamiche che caratterizzano i percorsi decisi dall’alto. Non necessariamente decisi da partiti, ma anche da associazioni, sindacati, gruppi di cittadini. In qualunque caso vi è sempre un soggetto, o più soggetti, che decidono quali siano i temi da sottoporre al referendum e questo fattore può anche avere l’effetto di depotenziare lo strumento, creando nei cittadini un senso di distacco nei confronti dei percorsi di partecipazione istituzionalizzata verso la politica”.

A dirlo è il Professor Lorenzo Viviani, titolare della cattedra di Sociologia Politica, Sociologia della Leadership e Sociologia della Democrazia presso l’Università di Pisa e membro dell’Associazione italiana di Sociologia (AIS), di cui coordina la Sezione di Sociologia politica.

Viviani ricorda che “nell’arco della storia repubblica lo strumento del referendum è stato utilizzato oltre 70 volte, con gradi diversi di partecipazione. Esiste il rischio che l’elevato ricorso, specie quando vengono presentati molti quesiti, lo abbia logorato privandolo in parte del valore di rottura rispetto allo schema tradizionale della politica, o di riaffermazione di questioni rilevanti all’interno della società, che la politica non riusciva a regolare”. Secondo il Professore dell’Università di Pisa, infatti, “Molto spesso lo strumento referendario ha ‘funzionato’ quando ha rotto gli schemi della politica classica, delle tradizionali contrapposizioni. Funziona meno, invece, quando replica le posizioni degli schieramenti, anche se i temi sono rilevanti. Ricordando i grandi referendum del passato, che hanno tracciato un prima e un dopo, come l’aborto, il divorzio, il finanziamento pubblico ai partiti o le battaglie per le riforme elettorali degli anni ‘90, questi sono sempre stati caratterizzati da elementi di crisi nel sistema politico-partitico. Lo strumento referendario diventava così – conclude il coordinatore della Sezione di Sociologia politica dell’Ais – il grimaldello per fare breccia nella immobilità del sistema istituzionale, squarciando il velo rispetto alla presunta impossibilità di normare un tema”.

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