Questo libro tenta di rendere conto dello spazio in quanto narrazione antropologica, nel suo farsi luogo. Nel suo farsi dimensione oracolare, persino orante, dismettendo la muta, seppur maestosa caducità che precede lo sguardo umano e la sua demiurgica presenza.
All’opposto dell’amore, la “compassione sociologica” ha prodotto gli spazi fruibili della sicurezza e del decoro istituzionale. Spazi utili, appunto, mentre questo libro cerca di interrogarsi sui luoghi necessari, forse indispensabili, per costruire persone e comunità. Questo libro suggerisce di provare a ripensare gli spazi, soprattutto quelli pubblici, per farne luoghi profondamente godibili, affinché il loro esperire ci restituisca la gioia della condivisione – spazi non clinicizzati, ma taumaturgici, in grado di curare l’anomia con la loro bellezza, la loro porosità rispetto alla dimensione temporale. Luoghi nei quali indugiare, sostare, fermarsi a respirare, fare scuola altrimenti. Luoghi di meraviglia grande e semplice, come librerie, teatri, parchi, lidi. Luoghi di apparente, immediata inutilità, ma necessari perché luoghi di permanenza gentile, di accoglienza, nei quali riedificare l’agorà del terzo millennio.